Emanuele Andrea Tagliafichi, Gaetano Cantoni e Carlo Barabino. Tre architetti a confronto
La lezione tenuta dall’architetto Giorgio Rossini nell’aula San Salvatore in Piazza Sarzano nell’ambito del ciclo di conferenze della società “A Compagna OdV” intende porre a confronto le tre maggiori figure protagoniste dell’architettura dell’Ottocento a Genova: Emanuele Andrea Tagliafichi, (1729-1811), Gaetano Cantoni (1745-1827) e Carlo Barabino (1768-1835).
La fama del terzo, progettista delle opere più note dell’Ottocento genovese, quali il teatro Carlo Felice, l’attiguo palazzo dell’Accademia Ligustica, il piano per l’ampliamento urbanistico della città e una prima idea del cimitero di Staglieno (ripresa e completata da Giovanni Battista Resasco), ha sempre offuscato la fama degli altri due architetti, anche se ad essi si deve l’introduzione del gusto neoclassico a Genova.
In particolare, il Tagliafichi, più vecchio di quaranta anni del Barabino, aveva operato ancora a cavallo del gusto tardobarocco e del primo Neoclassicismo. Di lui va ricordata, in particolare, la progettazione e l’esecuzione delle decorazioni del Palazzo Campanella in Strada Nuova, effettuata nel 1770 in qualità di collaboratore del più noto architetto francese Charles De Wailly. Oltre al rinnovamento di alcune ville genovesi ed alla pianificazione paesistica dei parchi annessi, (villa Rosazza, villa Serra a Cornigliano, villa Rostan a Pegli), Tagliafichi è stato autore di progetti di ampio respiro ma non eseguiti, come quello per un teatro a Genova e per la chiesa della Madeleine di Parigi.
Gaetano Cantoni fu offuscato dalla fama del fratello maggiore, Simone, autore della facciata e dei saloni del Maggiore e Minore Consiglio di Palazzo Ducale. La sua produzione è la più ampia dei tre architetti, avendo egli vissuto più di ottanta anni. A lui si deve il rinnovamento di diversi palazzi nobiliari genovesi, tra cui il Palazzo Brignole-Sale (Palazzo Rosso) in Via Garibaldi.
La sua opera maggiore non è tuttavia a Genova, ma a Porto Maurizio, ove progettò e diresse la grande mole del duomo, ultimato dai suoi successori. È proprio in questa sua ultima opera che si palesa un raffinato gusto neoclassico, erede della tradizione del fratello che in quegli anni operava a Milano sui più importanti edifici della nobiltà locale.
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